“Un doppio arcobaleno si stava formando: i suoi sette colori minori brillavano e danzavano nella spuma dei mari morenti.
Ma erano pallidi in confronto alla striscia più larga che fluttuava al di là, disdegnosa di condividere con loro lo stesso spettro.
Era il Colore Reale, di cui tutti gli altri sono riflessi meramente parziali e slavati. Era l’ottarino, il colore della magia. Era vivo risplendente vibrante ed era l’indiscusso pigmento dell’immaginazione perché, ovunque apparisse, stava a significare che la semplice materia era serva dei poteri della mente magica. Era l’incantamento stesso.”
Se Terry Pratchett ha un dono – e ne ha tanti – è andare sempre un po’ più in là, oltre i confini del fantasy, ma anche oltre gli stessi bordi del suo già infinito e infinitamente sorprendente Mondo Disco. Chissà perché, pur avendo letto molti suoi libri – in particolare quelli per ragazzi, come “La corona di ghiaccio” o “Il prodigioso Maurice e i suoi geniali roditori” –, questo libro era sempre rimasto sul comodino. Forse aveva bisogno di un tempo particolare, come appunto le vacanze estive, per essere letto: tutto insieme, in modo da portarmi davvero là, dove l’intero genio di Pratchett ha inizio.
“Il colore della magia” è infatti la raccolta di racconti che introduce il personaggio di Scuotivento (“Scuotivento sapeva di essere quasi certamente il mago più scadente del Mondo Disco, dato che conosceva un solo incantesimo. Ciò nonostante era pur sempre un mago”), e con lui i tanti aspetti del Mondo Disco, un mondo sorretto da quattro elefanti magici che poggiano sul guscio di una tartaruga gigante.
Un mondo che ha regole proprie, bizzarre ma coerenti. Una su tutte: “La magia non muore mai. Svanisce soltanto”.