Se dovessi dire dove ha origine il mio desiderio di raccontare storie, non avrei dubbi: dall’aver giocato, alla tenera età di dieci anni (ma forse anche meno), a “The Secret of Monkey Island”, avventura grafica della Lucasfilm (Lucas Lucas, proprio quello di Indiana Jones), uscita per pc e per Amiga 500, e scritta da quel genio del videogame che è Ron Gilbert.
Quella storia di pirati, quella colonna sonora eccezionale, quelle ambientazioni suggestive, le battute al vetriolo: tutto mi aveva conquistato; e i tempi di caricamento e i cambi di dischetto (i proprietari di Amiga 500 sanno a cosa mi riferisco, ma erano altri tempi) erano poca cosa di fronte all’emozione di risolvere l’enigma (e non gli stupidi enigmi di tantissimi giochini per smartphone in circolazione oggi) e andare avanti con la storia.
La storia. Una storia avvincente. Protagonista, l’aspirante pirata Guybrush Threepwood, impegnato a portare a termine le tre prove che gli permetteranno di definirsi un vero pirata. Antagonista, il pirata fantasma LeChuck. E poi, ovviamente, lei, Elaine, governatrice di Melée Island, per cui Guybrush prende una cotta spaventosa.
Non posso non ammettere che molte suggestioni sono poi arrivate nella “Lunghissima notte di Portospada”, che è stato scritto grazie alle tante letture fatte negli anni, ma che sicuramente è nato lì, a inizi anni Novanta. Un Amiga 500, quattro dischetti, un televisore e un mouse a pallina.
Giocarci, ovviamente, è una cosa. Ma anche guardarsi i vari longplay che si trovano su YouTube può essere una sorpresa. Io ho giocato a questo. E questo stasera ho voglia di riguardarmi un po’.
The Secret of Monkey Island: la mia storia del cuore
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